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Guerra in Iraq
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Guerra in Iraq
Elicottero americano sopra Baghdad
Data: 20 marzo-2003 - in corso
Luogo: Iraq
Esito: abbattimento del regime di Saddam Hussein; ma ancora in corso
Schieramenti
Nuovo esercito Iracheno
milizia curda dei peshmerga
Coalizione:
U.S.A.
Regno Unito
Altri eserciti della coalizione multinazionale in Iraq
Esercito Iracheno e successiva resistenza dei fedeli a Saddam Hussein
Lealisti Baʿth
gruppi religiosi e tribali sunniti
Esercito del Mahdi1
Terroristi collegati ad al-QÄÊ¿ida
Comandanti
Nuri al-Maliki
Jalal Talabani
Ibrahim al-Jafaari
Iyad Allawi
Abdul Aziz al-Hakim
Masʿūd BÄrzÄnÄ«
George W. Bush
Jay Garner
Paul Bremer
Tommy Franks
George Casey
David Petraeus
Tony Blair
Brian Burridge
Peter Wall
á¹¢addÄm Ḥusayn†
AbÅ« MusÊ¿ab al-ZarqÄwÄ«†
Abū Ayyūb al-Maṣrī
Muqtada al-Sadr1
Ê¿Izzat IbrÄhÄ«m al-DÅ«rÄ«
Effettivi
Coalizione:
300.0002 durante l'invasione
150.0002 attualmente
Mercenari:
120.0002
Curdi (peshmerga):
50.0002 durante l'invasione
175.0002 attualmente
Nuovo esercito Iracheno:
129.7602
Polizia Irachena:
140.0002 Esercito Iracheno:
375.0002
Sunniti insorti
60.0002
Miliziani del Mahdi:
60.0001,2
Organizzazione Badr:
4-10.0002,3
al-QÄÊ¿ida :
1.3002
Perdite
Soldati della coalizione morti:
3.4014 U.S.A.
1484 U.K.
1274 altre nazioni
7692 mercenari
Forze di sicurezza Irachena morti:
oltre 7.4002
Soldati della coalizione dispersi o catturati:
5 U.S.A.
Soldati della coalizione feriti:
32.5442 U.S.A.
8932 U.K.
oltre 7.7612 mercenari Soldati iracheni morti:
7.600-10.8002
Insorti morti:
oltre 9.0002
1L'Esercito del Mahdi, capeggiato da Muqtada al-Sadr, si è scontrato con gli americani durante il 2004; da allora (specie dopo l'ingresso di al-Sadr nella coalizione che sostiene il governo) vi è una fragile tregua fra le due parti.
2Dalla wikipedia inglese
3L'organizzazione Badr non si è mai scontrata con gli americanied è inoltre legata ad uno dei principali partiti che sostengono il governo, lo SCIRI.
4Dal sito icasualties.org
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La guerra in Iraq (detta anche seconda guerra del Golfo) iniziò il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione formata da Stati Uniti, Regno Unito, Australia e Polonia. Essa era stata preceduta da una lunga ostilità armata (iniziata nel 1990 con la Prima guerra del Golfo) fra l'Iraq del dittatore SaddÄm Husayn e molti altri Stati (USA in primis).
Le truppe della coalizione prevalsero facilmente sull'esercito iracheno, tanto che il 1º maggio 2003 il presidente americano Bush proclamò concluse le operazioni militari su larga scala. Tuttavia, nonostante numerosi Paesi (fino al dicembre 2006 anche l'Italia) si siano uniti alla coalizione inviando contingenti militari, il conflitto prosegue. Esso si è trasformato in una guerra civile[1] che vede da una parte le forze internazionali e il nuovo governo iracheno (e le milizie curde e sciite che lo appoggiano) e dall'altra un movimento di resistenza[2] forte soprattutto nelle province centrali a prevalenza sunnita[3], di cui fanno parte blocchi disparati che vanno da ex-membri del partito BaÊ¿th e dell'esercito, a gruppi religiosi, etnici o tribali e a gruppi apertamente terroristici legati ad al-QÄÊ¿ida. La situazione attuale è in via di deterioramento: la repressione militare della resistenza non ha prodotto risultati apprezzabili; per quanto la resistenza sia troppo debole per costringere al ritiro la coalizione, il suo ricorso alla guerriglia e al terrorismo sta spingendo sempre più nel caos buona parte dell'Iraq[4][5].
I tentativi di por fine allo scontro attraverso un processo politico (come le elezioni del 2005) non hanno avuto esito: dopo la vittoria alle urne, sciiti e curdi hanno persino esacerbato il conflitto introducendo nella nuova costituzione misure contrarie agli interessi sunniti. I governi che si sono succeduti sono deboli ed incapaci di controllare persino i propri sostenitori: gli scontri armati fra milizie "filo-governative" (come a Basra, teatro di uno scontro fra fazioni sciite, o a Kirkuk, contesa fra Sciiti e Curdi) sono frequenti. Questi scontri e quelli con la resistenza sono accompagnati da episodi di pulizia etnica, che hanno spinto alcuni milioni di iracheni a fuggire dalle proprie case[6].
I costi umani della guerra non sono chiari: l'unico numero noto con una certa precisione è quello delle perdite della coalizione (3.676 morti ed oltre 25.000 feriti fino al 15 Maggio 2007), mentre per le perdite irachene si va dai circa 30.000 morti cui ha accennato il presidente Bush in un discorso del dicembre 2005, ai circa 650.000 stimati in uno studio apparso nell'ottobre 2006 sulla rivista medica Lancet.
Indice [nascondi]
1 Quadro storico
1.1 Gli anni '80 e la prima guerra del Golfo
1.2 La Seconda amministrazione Bush e l'inizio della "guerra al terrorismo"
2 Il dibattito sulla guerra (gennaio 2002 - marzo 2003)
2.1 Gli argomenti delle due parti
2.1.1 Le ragioni dei sostenitori
2.1.2 Le ragioni degli oppositori
2.1.3 Un'analisi postbellica
2.2 La controversia internazionale
2.2.1 L'autorizzazione del Congresso
2.2.2 La ripresa delle ispezioni e il braccio di ferro all'ONU
2.2.3 Le proteste popolari
2.2.4 La "Coalizione dei volenterosi"
3 L'invasione dell'Iraq (marzo-maggio 2003)
3.1 I preparativi militari
3.2 I combattimenti
3.3 Missione compiuta?
4 L'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein (maggio 2003-presente)
4.1 La scena politica irachena dopo la caduta di á¹¢addÄm
4.2 L'occupazione (maggio 2003-giugno 2004)
4.2.1 La situazione politica
4.2.2 La situazione militare
4.2.3 Lo scontro con l'"esercito del Mahdī"
4.3 Il recupero formale della sovranità (giugno 2004-gennaio 2005)
4.3.1 Il governo Allawi
4.3.2 La campagna di Fallūja
4.4 Le elezioni del 2005 e la redazione della nuova Costituzione
4.4.1 Le elezioni del gennaio 2005
4.4.2 La nuova costituzione
4.4.3 Le elezioni del dicembre 2005
4.4.4 Aspetti militari
4.5 L'Iraq dal 2006 ad oggi
4.6 Gli abusi e le torture
5 Il conflitto iracheno e la politica internazionale
5.1 Politica interna statunitense
5.1.1 Elezioni presidenziali del 2004
5.1.2 Elezioni "di mezzo termine" del 2006
5.1.3 I costi economici della guerra
5.2 La regione medio orientale
5.3 Europa
5.4 Il coinvolgimento italiano
5.4.1 La partecipazione italiana alle operazioni in Iraq
5.4.2 I rapimenti
5.4.3 Politica interna italiana
6 Conseguenze
7 I costi umani della guerra
7.1 Le perdite della Coalizione
7.2 Le perdite irachene
7.2.1 Perdite dell'esercito di SaddÄm
7.2.2 Perdite delle forze di sicurezza del nuovo governo iracheno
7.2.3 Perdite fra i civili iracheni
7.2.4 Perdite della guerriglia e delle milizie irachene
7.2.5 Il totale dei morti e gli studi di "The Lancet"
8 Note
9 Voci correlate
10 Altri progetti
11 Collegamenti esterni
Quadro storico [modifica]
Gli anni '80 e la prima guerra del Golfo [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Guerra Iran-Iraq e Prima guerra del Golfo.
Durante gli Anni '80 i rapporti fra l'Iraq di SaddÄm Husayn, gli Stati Uniti, i Paesi occidentali e le monarchie arabe della regione del Golfo Persico (Arabia Saudita, Kuwait, Giordania, Qatar, ecc.) furono sostanzialmente buoni per ragioni di realpolitik. Infatti, nonostante i suoi numerosi abusi e la sua contiguità politica con l'Unione Sovietica, il regime laico instaurato in Iraq dal partito BaÊ¿th era considerato un bastione contro l'espansione del regime islamico iraniano, con cui fu in guerra dal 1980 al 1988.
Nell'agosto 1990 l'invasione irachena del Kuwait costrinse gli USA e i loro alleati a uno scontro frontale coll'Iraq. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dispose sanzioni economiche e più tardi autorizzò un intervento militare se gli Iracheni non si fossero ritirati dal Kuwait entro il 15 gennaio 1991. L'Iraq ignorò l'ultimatum e al suo scadere un'ampia coalizione capeggiata dagli USA scacciò gli Iracheni dal Kuwait (Prima guerra del Golfo).
Il primo presidente BushIl presidente americano Bush si attenne al mandato ONU, evitando di rovesciare il regime di SaddÄm Husayn; questo anche per timore che un vuoto di potere portasse a una situazione ancora peggiore. Bush optò invece per una politica di contenimento, basata su:
Smantellamento delle armi di distruzione di massa (Weapons of Mass Destruction, WMD: armi chimiche, biologiche e nucleari) irachene, affidato a squadre di ispettori dell'ONU;
Pressione militare con la costruzione di basi USA nei Paesi vicini e l'imposizione delle cosiddette no-fly zones, che favorirono la formazione di un'entità curda semi-indipendente e furono causa di numerose scaramucce;
Mantenimento delle sanzioni economiche per rendere impopolare il regime e ostacolarne il riarmo.
Mappa dell'Iraq con indicazione delle no fly zonesLa successiva amministrazione Clinton si attenne a questa politica ma fu costretta a piccole modifiche in due occasioni:
Nel 1996 le nefaste conseguenze delle sanzioni sui civili iracheni spinsero l'ONU a introdurre il programma Oil for Food, che permetteva all'Iraq di vendere petrolio in cambio di generi di prima necessità ;
Nel 1998 á¹¢addÄm Ḥusayn espulse gli ispettori con l'accusa di essere delle spie.
La Seconda amministrazione Bush e l'inizio della "guerra al terrorismo" [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Attentati dell'11 settembre 2001 e Invasione statunitense dell'Afghanistan.
Verso la fine degli anni '90 diversi intellettuali e politici americani (soprattutto i Neoconservatori) cominciarono a premere per un'invasione dell'Iraq[7]. Molti di costoro erano vicini al Partito Repubblicano e la loro influenza crebbe enormemente con l'elezione (novembre 2000) del secondo presidente Bush. Nella nuova Amministrazione entrarono diversi fautori dell'invasione, fra cui il vicepresidente Dick Cheney, il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e probabilmente lo stesso Bush.
Inizialmente l'Iraq venne lasciato in disparte, forse perché la relativa debolezza politica del presidente non gli permetteva di ignorare le ragioni dei "realisti" (che temevano le conseguenze negative dell'invasione). Gli attentati dell'11 settembre 2001 gli permisero di uscire dall'impasse presentandosi come il presidente di una nazione già in guerra. Bush proclamò dapprima la cosiddetta guerra al terrorismo e poi enunciò la dottrina della guerra preventiva[8]: gli USA non avrebbero atteso gli attacchi nemici, ma avrebbero usato la propria potenza militare per prevenirli.
à stato riferito[9] che Bush pensasse subito all'Iraq, cambiando però idea quando si rese conto che gli attentati erano stati compiuti dal gruppo terrorista al-QÄÊ¿ida, capeggiato dal saudita OsÄma bin LÄden. Bin LÄden e i suoi avevano base in Afghanistan dove erano appoggiati dai Talebani, fazione che controllava gran parte del Paese. Poiché questi rifiutarono di consegnare bin LÄden, gli USA si allearono con i loro nemici interni e li rovesciarono, installando a Kabul un governo filo-occidentale (dicembre 2001); bin LÄden riuscì a fuggire.
Nonostante la campagna afghana non fosse conclusa, l'amministrazione Bush spostò rapidamente la propria attenzione ad altri Stati che riteneva pericolosi per la sicurezza statunitense: nel discorso sullo stato dell'Unione del gennaio 2002 Bush parlò del cosiddetto asse del male formato da paesi-canaglia quali Iran, Iraq e Corea del Nord, cui occorreva contrapporsi. Nella pratica, gli sforzi dell'amministrazione si indirizzarono soprattutto contro l'Iraq.
Il dibattito sulla guerra (gennaio 2002 - marzo 2003) [modifica]
Gli argomenti delle due parti [modifica]
Le ragioni dei sostenitori [modifica]
Il secondo presidente Bush in compagnia del Consigliere per la Sicurezza Nazionale Rice, del Segretario di Stato Powell e di quello alla difesa RumsfeldI sostenitori della guerra addussero diverse motivazioni a suo favore:
La probabile ricostituzione dell'arsenale iracheno di WMD, favorita dall'assenza di ispezioni e dall'allentamento delle sanzioni. Per esempio, nel settembre 2002 Bush dichiarò che l'Iraq voleva produrre WMD in grado di mettere in pericolo la sicurezza dell'intero Occidente. Questo genere di argomenti venne rinforzato da numerose voci riguardo ai programmi di riarmo iracheno, (vedi p.es. Nigergate).
I contatti fra l'Iraq e numerosi gruppi terroristici, indice di una possibile collaborazione (in teoria l'Iraq avrebbe potuto fornire armi atomiche da impiegare in un attentato). Il vicepresidente Cheney sostenne che esistevano legami fra al-QÄ'ida e l'Iraq; Bush non fu mai così esplicito, ma fece diversi riferimenti impliciti a questa possibilità .
Il prestigio internazionale degli Stati Uniti sarebbe uscito rafforzato, spingendo molti paesi ad allinearsi con Washington e migliorando la situazione politica internazionale;
L'abbattimento e la sostituzione del regime iracheno con un governo democratico avrebbe migliorato l'immagine degli Stati Uniti in Vicino Oriente, fornendo un esempio da imitare alle popolazioni della regione, generalmente governate in modo autocratico;
Le sistematiche violazioni dei diritti umani e i numerosi crimini di cui il regime iracheno era responsabile, fra cui le due guerre da esso provocate (Guerra Iran-Iraq e Prima guerra del Golfo) e le atrocità nei confronti della popolazione curda[10] e della popolazione irachena in generale.
Violazioni della no-fly zone sino a poco prima dell'intervento.
Esistevano poi ragioni poco o per nulla pubblicizzate dai sostenitori della guerra, ma che secondo gli oppositori hanno probabilmente contribuito alla decisione di intraprenderla:
Gli USA volevano rendere più sicuri i propri approvvigionamenti energetici, riducendo l'importanza di Paesi come il Venezuela di Hugo Chávez, o della stessa Arabia Saudita;
Numerose compagnie americane desideravano partecipare allo sfruttamento delle risorse petrolifere irachene (da cui erano escluse per via delle sanzioni), alla "ricostruzione" dell'Iraq, o anche solo alla fornitura di armamenti per la guerra. Inoltre si pensava che dopo la guerra un aumento della produzione irachena avrebbe abbassato il prezzo del greggio, favorendo l'intera economia occidentale;
Israele (stretto alleato degli USA con cui l'Iraq era formalmente in guerra da decenni) avrebbe beneficiato dell'eliminazione di uno dei suoi più acerrimi avversari;
l'Iraq avrebbe potuto essere usato come base di partenza per rovesciare i regimi di Siria e Iran.
Le ragioni degli oppositori [modifica]
Così come i suoi sostenitori, gli oppositori della guerra hanno portato una serie di argomenti, sia ideali che pratici, a sostegno della loro tesi:
Il riarmo iracheno era dubbio e in ogni caso la ripresa delle ispezioni sarebbe stata sufficiente a dissipare le incertezze.
il ruolo di sponsor del terrorismo attribuito al regime iracheno era esagerato: á¹¢addÄm appoggiava organizzazioni terroristiche, specie palestinesi[11] e inoltre i suoi servizi segreti erano responsabili di omicidi di oppositori all'estero. Ma non vi erano seri indizi che il Governo iracheno fosse implicato in atti terroristici contro gli USA in tempi recenti. L'ipotesi che á¹¢addÄm affidasse un'atomica a un gruppo terroristico appariva inverosimile per diversi motivi (á¹¢addÄm non si sarebbe fidato e non si sarebbe esposto a una rappresaglia nucleare; inoltre, il tipo di arma cui l'Iraq poteva realisticamente arrivare è piuttosto ingombrante e difficile da trasportare).
In caso di insuccesso il prestigio americano avrebbe subìto un duro colpo; anche in caso di successo, Paesi come Iran e Corea del Nord avrebbero potuto decidere di intensificare i propri sforzi per raggiungere armamenti nucleari (e diventare relativamente inattaccabili) piuttosto che adeguarsi ai desideri degli USA.
La rapida formazione di un governo democratico filo-occidentale in Iraq appariva improbabile, sia perché non era scontato che la guerra sarebbe finita in tempi brevi, sia perché gli oppositori di á¹¢addÄm erano divisi fra loro e avevano spesso obiettivi opposti. Inoltre si temeva che le fazioni sciite vicine all'Iran fossero le più popolari, il che avrebbe potuto portare all'instaurazione di una teocrazia filo-iraniana;
La debolezza del legame con la lotta ad al-QÄÊ¿ida, e la non facile stabilizzazione dell'Iraq post-bellico facevano temere un crollo della popolarità degli USA nel mondo arabo, favorendo il "reclutamento" di nuovi terroristi;
La scelta di una "guerra preventiva" non avallata dall'ONU era illegale e pericolosa;
Il governo di á¹¢addÄm era esecrabile, ma le vittime della guerra avrebbero potuto essere più numerose di quelle del regime;
Un periodo di instabilità nel Vicino Oriente avrebbe potuto portare a un collasso della produzione di petrolio e a risultati opposti a quelli sperati dai sostenitori della guerra (aumentato peso politico dei produttori di petrolio, aumento del prezzo del greggio, recessione economica).
Così come non tutti i fautori della guerra condividevano tutte le ragioni elencate in precedenza, non tutti i suoi oppositori condividevano tutte le motivazioni appena esposte. Per esempio, è molto probabile che i governi francese, tedesco, russo e cinese non si siano opposti alla guerra per ragioni di principio, ma solo per l'instabilità che una guerra avrebbe potuto portare nella regione medio-orientale e per ragioni inconfessate di opportunità economica, in quanto diverse compagnie di questi Paesi avevano stipulato accordi vantaggiosi per lo sfruttamento delle risorse petrolifere irachene, che sarebbero entrati in vigore quando le sanzioni internazionali fossero state abolite.
Un'analisi postbellica [modifica]
Dopo diversi anni dal capovolgimento del regime di á¹¢addÄm Ḥusayn molte ragioni dell'opposizione all'intervento bellico si sono rivelate realistiche e fondate e i vantaggi, anche non ufficiali, della parte favorevole non sono stati conseguiti.
Le squadre di ricerca americane dispiegate dopo la conquista del Paese non hanno trovato quantitativi rilevanti di WMD[12], per cui sembrerebbe che la minaccia delle WMD irachene fosse stata grandemente esagerata rispetto alla realtà . A questo proposito il dibattito verte ormai sulla scarsa affidabilità delle informazioni fornite dai servizi segreti occidentali (CIA, MI6, forse persino il SISMI), tanto che i governi cui fanno capo sono stati accusati di aver volutamente esagerato la minaccia irachena per ottenere il via libera dai rispettivi parlamenti[13].
I legami con il terrorismo ed al-QÄÊ¿ida appaiono del tutto insufficienti a giustificare l'invasione[14].
à possibile che il disarmo libico ed il ritiro siriano dal Libano avvenuti fra il 2004 ed il 2006 siano legati al timore di un intervento militare americano da parte di quei governi; d'altra parte, Paesi come Iran e Corea del Nord non hanno minimamente ammorbidito le proprie politiche anti-americane, tanto che la Corea del Nord è recentemente giunta a possedere armi nucleari.
Le elezioni irachene non hanno portato ad una democrazia filo-occidentale né alla nascita di un forte governo in grado di gestire i conflitti interni: semmai, il "nuovo" Iraq appare sull'orlo della disgregazione, per via dell'intensificazione dei conflitti fra i vari gruppi etnici e religiosi. La situazione attuale vede una sorta di "matrimonio di interesse" fra gli americani ed il debole governo diretto dai partiti religiosi sciiti (vicini all'Iran e favorevoli ad introdurre norme islamiche nella legislazione irachena; negli anni '80 quasi tutti questi gruppi erano considerati dagli USA come organizzazioni terroristiche di matrice islamica): questi partiti hanno parzialmente accantonato le proprie tendenze teocratiche ed anti-occidentali, ma questa decisione è fortemente influenzata dalla necessità sciita di mantenere l'appoggio militare USA.
La popolarità americana nei Paesi islamici (e non solo) ha subito un calo drastico dopo l'invasione dell'Iraq[15]; inoltre si stima che la guerra in Iraq sia diventata una delle principali fattori che favoriscono la crescita del terrorismo islamico[16].
Il rovesciamento del regime è indubbiamente l'elemento più positivo nel bilancio della guerra, anche se il crescente numero di vittime fa pensare che il prezzo sia stato molto elevato.
Il prezzo del barile di greggio, che all'inizio del 2003 si aggirava attorno ai 30 dollari, ha subito una forte impennata, superando i 75 dollari nell'estate del 2006 ed ora (maggio 2007) si aggira attorno ai 60 dollari al barile.
La controversia internazionale [modifica]
L'autorizzazione del Congresso [modifica]
L'11 ottobre 2002 Bush ottenne dal Congresso l'autorizzazione all'uso della forza per "difendere la sicurezza nazionale degli USA contro la continua minaccia posta dall'Iraq; e per attuare tutte le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'ONU a questo riguardo". Bush avrebbe dovuto spingere il Consiglio di Sicurezza a prendere provvedimenti contro il mancato rispetto di 16 precedenti risoluzioni riguardanti l'Iraq; la forza sarebbe stata ammissibile solo dopo che egli avesse determinato che ulteriori sforzi diplomatici non sarebbero valsi a proteggere gli USA o ad attuare le risoluzioni. Tuttavia Bush non avrebbe avuto bisogno di ulteriori autorizzazioni, né del Congresso né dell'ONU.
La ripresa delle ispezioni e il braccio di ferro all'ONU [modifica]
Dopo alcune settimane di negoziati in seno al Consiglio gli USA ottennero l'approvazione unanime della risoluzione 1441 (8 novembre 2002), che offriva all'Iraq un'"ultima possibilità di adempiere ai propri obblighi in materia di disarmo" e minacciava "serie conseguenze" in caso contrario, fissando una serie di scadenze entro le quali il disarmo sarebbe dovuto procedere.
L'Iraq accettò la risoluzione, permettendo il ritorno degli ispettori e concedendo loro prerogative (come l'accesso illimitato ai "siti presidenziali") che aveva sempre negato. I capi degli ispettori, Hans Blix e Muḥammad al-Baradeʿī, presentarono diversi rapporti. Nel primo di questi (30 gennaio 2003) Blix sostenne che l'Iraq non aveva del tutto accettato i propri obblighi, pur non ponendo ostacoli diretti alle ispezioni; al-Baradeʿī (capo della AIEA e incaricato della distruzione del programma nucleare) sostenne che molto probabilmente l'Iraq non aveva un programma atomico degno di nota. Entrambi chiesero più tempo prima di dare un giudizio definitivo.
Un'immagine mostrata da Colin Powell durante la sua presentazione all'ONU, raffigurante uno dei presunti laboratori mobili posseduti dall'IraqIl 5 febbraio il segretario di stato USA Colin Powell cercò di convincere il Consiglio ad autorizzare l'uso della forza poiché a suo dire l'Iraq aveva ancora una volta dimostrato di non rispettare le risoluzioni ONU; nel suo discorso egli discusse le prove dell'esistenza di WMD irachene. La sua tesi fu accolta freddamente e i suoi argomenti furono considerati molto deboli[17].
I successivi rapporti di Blix e al-Baradeʿī (14 febbraio e 7 marzo) furono più favorevoli all'Iraq, poiché parlavano di progressi, anche se diversi problemi restavano irrisolti, soprattutto nel campo delle armi chimiche: secondo Blix, sarebbero stati necessari parecchi mesi di ispezioni per venirne a capo.
Questi rapporti, uniti all'annuncio francese di un probabile veto, furono deleteri per i tentativi anglo-americani di ottenere una nuova risoluzione che autorizzasse esplicitamente l'invasione. Nonostante forti pressioni americane solo 4 dei 15 Stati presenti nel Consiglio (USA, Regno Unito, Spagna e Bulgaria) erano intenzionati ad approvare la risoluzione (Francia, Germania, Cina, Pakistan e Siria sembravano contrari, mentre Messico, Cile, Camerun, Angola, Guinea e Russia avevano posizioni più sfumate). La nuova risoluzione non fu quindi sottoposta al voto e Bush dichiarò che la diplomazia aveva fallito.
Dopo la caduta di á¹¢addÄm, il Consiglio di Sicurezza dell'ONU ha unanimemente riconosciuto USA e Regno Unito quali potenze occupanti ed invitato i propri membri a contribuire alla stabilizzazione della situazione irachena e a favorire l'autogoverno iracheno (risoluzione 1483 del 22 maggio 2003). Successivamente diverse risoluzioni (tutte approvate senza voti contrari) hanno riconosciuto il nuovo governo iracheno.
Le proteste popolari [modifica]
Proteste contro la guerra in Iraq davanti al Parlamento britannico a fine 2005Il braccio di ferro all'ONU fu accompagnato da manifestazioni di protesta in gran parte del mondo, notevoli sia per la grande partecipazione che per la loro estensione geografica. Anche se il commentatore del New York Times definì l'opinione pubblica mondiale l'unica "superpotenza" in grado di contrastare gli Stati Uniti, gli effetti pratici furono irrilevanti. Infatti esse non scalfirono la determinazione dell'amministrazione statunitense (il cui elettorato era in maggioranza favorevole alla guerra) e non riuscirono neppure a porre una pressione sufficiente su governi (come quello italiano e spagnolo) che appoggiavano l'invasione a dispetto dell'opposizione da parte delle rispettive opinioni pubbliche.
La "Coalizione dei volenterosi" [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Coalizione multinazionale in Iraq.
Fin da prima della controversia all'ONU Bush e i suoi alleati (fra cui il premier britannico Tony Blair) avevano cercato di raccogliere una coalizione favorevole all'invasione dell'Iraq, per ottenere una risoluzione favorevole alla guerra, o perlomeno una certa copertura politica. Il rafforzamento militare della coalizione era secondario, in quanto nessuno Paese "invitato" disponeva di forze confrontabili con quelle anglo-americane.
Il 27 marzo 2003 (cioè durante l'invasione) la Casa Bianca diffuse l'elenco dei membri della coalizione, composta dai 49 paesi; il livello di coinvolgimento andava dalla partecipazione militare (USA, Gran Bretagna, Polonia, Australia) al supporto logistico, al semplice appoggio politico. Bush definì questi Stati (molti dei quali inviarono poi in Iraq dei contingenti militari) come la "coalizione dei volenterosi" (coalition of the willing).
Molti tuttavia fecero notare l'assenza di paesi importanti come Francia e Germania e lo scarso contributo del mondo islamico, presente solo attraverso il Kuwait (che ricambiava l'aiuto ricevuto 12 anni prima facendo da base principale per l'attacco), la Turchia (che permise l'uso del proprio spazio aereo, ma non il transito della fanteria statunitense), l'Afghanistan, l'Azerbaijan e l'Uzbekistan (che diedero contributi simbolici).
A titolo di esempio, nel febbraio 2006 restavano in Iraq circa 140.000 statunitensi e 8.000 britannici, cui si aggiungevano 3 contingenti fra 1.000 e 5.000 uomini (Corea del Sud, Italia, Polonia) e altri 18 più piccoli. Le forze della coalizione erano americane per l'87%, britanniche per il 5% e di altre 21 nazioni per il rimanente 8%. Queste proporzioni erano rimaste grossomodo costanti fin dalla primavera del 2003; tuttavia, a seguito del ritiro di diversi contingenti (fra cui quelli italiano) avvenuto durante il 2006 e dell'aumento (noto col termine inglese di surge) degli effettivi USa in Iraq, il "peso" statunitense è ora (aprile 2007) ben superiore al 90%.
L'invasione dell'Iraq (marzo-maggio 2003) [modifica]
I preparativi militari [modifica]
Aerei della coalizione in volo sul desertoPer quanto Bush sostenesse che la decisione di invadere l'Iraq non fosse stata ancora presa, il comando americano cominciò con largo anticipo a pianificare l'invasione, inviando grandi forze in Kuwait. Nella primavera 2002 la stampa USA descrisse i probabili piani di attacco: una campagna relativamente breve ma molto massiccia di bombardamenti aerei (shock and awe) sarebbe stata combinata con la rapida avanzata di un esercito relativamente piccolo ma molto mobile, dotato dei più moderni mezzi. Il principale timore era che questa forza perdesse molti dei propri vantaggi se l'esercito iracheno si fosse asserragliato nelle città . Parecchi militari ritenevano quindi inadeguata sia la forza di 70.000 uomini proposta dal segretario alla difesa Rumsfeld (per confronto, l'esercito che nel 1991 aveva riconquistato il Kuwait era di oltre 500.000 uomini), sia le stime che parlavano di un'occupazione di circa un anno: ad esempio, il capo di stato maggiore dell'esercito USA, gen. Shinseki dichiarò di ritenere necessarie "diverse centinaia di migliaia di uomini" "per diversi anni". Alla fine gli USA e i loro alleati schierarono circa 250.000 uomini, metà dei quali marinai od aviatori.
Inoltre le incursioni aeree sulle no fly zones furono intensificate: già nel settembre 2002 furono condotte incursioni che coinvolsero oltre 100 aerei. Alla fine dell'autunno le truppe americane erano pronte all'invasione, prevista nei mesi relativamente freschi dell'inverno, ma che fu ritardata di alcuni mesi dal protrarsi della controversia all'ONU (forse perché la loro presenza minacciosa aveva spinto SaddÄm a piegarsi alle ispezioni).
I combattimenti [modifica]
Mappa animata della guerra
Soldati iracheni un mese prima dell'invasione
Marines statunitensi impegnati in uno scontro a fuoco
Demolizione di una statua di SaddÄmLa guerra iniziò la mattina del 20 marzo del 2003, poche ore dopo un ultimo rifiuto di á¹¢addÄm di abbandonare il potere e andare in esilio. La coalizione disponeva di un esercito di circa 260.000 uomini, cui si aggiungevano alcune decine di migliaia di componenti della milizia curda dei peshmerga. L'esercito iracheno contava invece poco meno di 400.000 uomini (di cui circa 60.000 guardie repubblicane), più circa 40.000 paramilitari dei FedÄ'iyyÄ«n á¹¢addÄm e ben 650.000 uomini ufficialmente parte della riserva. L'esercito iracheno era però male armato e scarsamente motivato; anche i reparti di élite della guardia repubblicana avevano mezzi piuttosto malconci (le sanzioni avevano impedito l'importazione di pezzi di ricambio). In effetti, gran parte delle unità irachene si disintegrarono prima di incontrare il nemico, per via dei bombardamenti, e dell'incompetenza o delle diserzioni dei loro comandanti (spesso corrotti dalla CIA).
L'attacco di terra fu quasi contemporaneo a quello aereo. Poiché la Turchia aveva negato il transito alla fanteria, quasi tutte le forze della coalizione partirono dal Kuwait, anche se nel nord una brigata di paracadutisti e diverse unità di forze speciali si unirono ai peshmerga.
L'avanzata fu rapida: già nella serata del 20 marzo le forze britanniche e i Marines avevano occupato il porto di Umm Qaṣr, impossessandosi dei giacimenti petroliferi del sud dell'Iraq, ed erano in prossimità di Basra (che però fu presa solo il 6 aprile); il grosso degli americani avanzò invece verso ovest e verso nord, evitando di prendere d'assalto le città salvo quando necessario per impossessarsi di ponti sul Tigri o sull'Eufrate. Gli Iracheni opposero resistenza per alcuni giorni nei pressi di Hilla e Karbala, aiutati da una tempesta di sabbia e dalla necessità americana di rifornire i propri mezzi. Tuttavia il 9 aprile, tre settimane dopo l'inizio dell'invasione, gli americani entrarono a Baghdad e le rimanenti difese irachene crollarono: il 10 aprile i curdi entrarono a Kirkuk e infine il 15 aprile cadde anche la città natale del rais, Tikrīt.
Missione compiuta? [modifica]
Per quanto quasi tutti i membri del governo iracheno fossero sfuggiti alla cattura e ci fossero ancora combattimenti in corso, la rapida caduta di tutti i centri principali dell'Iraq sembrava dar ragione alle previsioni ottimistiche di coloro che avevano proposto la guerra; il 1º maggio 2003 il presidente Bush atterrò sulla portaerei Abraham Lincoln (che aveva partecipato alle operazioni in Iraq e stava rientrando alla base) e vi tenne un discorso avendo alle spalle uno striscione che diceva Missione Compiuta (Mission Accomplished). Nel discorso Bush proclamò la conclusione delle operazioni militari su larga scala in Iraq. Tuttavia nelle settimane successive in Iraq vi fu un drammatico aumento di tutti i tipi di crimini (dal saccheggio dei musei agli attacchi alle truppe della coalizione) per via della scarsità del personale dedicato a mantenere l'ordine e la sicurezza.
L'Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein (maggio 2003-presente) [modifica]
Per approfondire, vedi le voci Politica dell'Iraq e Elezioni in Iraq.
La scena politica irachena dopo la caduta di á¹¢addÄm [modifica]
In teoria il regime di á¹¢addÄm Ḥusayn aveva imposto all'Iraq l'ideologia laica, nazionalista e con tendenze socialiste del partito BaÊ¿th. In pratica la società irachena era ancora percorsa da divisioni etniche, religiose e persino tribali. Il regime sfruttava queste divisioni e praticava discriminazioni sistematiche fra i vari gruppi, favorendo grandemente la minoranza (circa 25% della popolazione irachena) araba sunnita e specialmente i clan originari di TikrÄ«t, città natale di á¹¢addÄm. Gran parte delle posizioni di una certa responsabilità (dirigenti del partito, funzionari governativi, ufficiali dell'esercito, ecc.) erano affidate a sunniti, possibilmente di tendenze laiche.
L'opposizione a á¹¢addÄm era particolarmente forte fra coloro che erano danneggiati da queste discriminazioni, ovvero fra gli sciiti (oltre il 50% della popolazione) e i curdi (circa il 20%).
Alla caduta del regime i principali gruppi etnici, politici e religiosi erano:
I partiti religiosi sciiti (che nelle elezioni del 2005 si sono coalizzati nella Alleanza Irachena Unita, ottenendo circa il 45% dei voti) ovvero il Supremo Consiglio Islamico Iracheno[18] (noto con l'acronimo inglese SIIC e attualmente capeggiato da Ê¿Abd al-Ê¿AzÄ«z al-ḤakÄ«m), il Partito islamico DaÊ¿wa di Nouri al-Maliki ed IbrÄhÄ«m al-JaÊ¿farÄ« e il movimento sadrista (a sua volta diviso fra i seguaci di Muqtada al-Sadr e quelli del partito FÄá¸ila dello shaykh Muḥammad al-YaÊ¿qÅ«bÄ«). I primi due sono piuttosto vicini all'Iran, dove molti dei loro capi si erano rifugiati negli anni del regime. I sadristi sono al tempo stesso i più fondamentalisti e i più nazionalisti fra gli sciiti per cui rigettano ogni influenza esterna e sono particolarmente invisi alla presenza americana (ma anche i loro rapporti con l'Iran sono relativamente freddi). Il SIIC ed i "sadristi" sono legati a due milizie armate, dette rispettivamente Badr ed Esercito del MahdÄ«; quest'ultima è l'unica formazione sciita a essersi scontrata militarmente con la coalizione.
I curdi sono i più fedeli alleati degli USA in Iraq, per quanto siano stati costretti a rinunciare alle proprie aspirazioni di indipendenza; essi mantengono comunque una milizia armata, i cosiddetti peshmerga. Politicamente sono rappresentati dall'alleanza di due partiti, l'Unione Patriottica del Kurdistan di JalÄl ṬÄlabÄnÄ« e il Partito Democratico del Kurdistan di Masʿūd BÄrzÄnÄ«. Questi partiti sono relativamente laici, ma esiste pure un partito islamico curdo. Nelle elezioni del 2005 i partiti curdi hanno ottenuto in totale il 20% circa dei voti.
AbÅ« MusÊ¿ab al-ZarqÄwÄ« in una delle foto del programma Rewards for Justice.I sunniti, che hanno controllato il Paese fin dagli anni '20 si sentono ora esclusi dai posti chiave del governo; moltissimi di loro hanno perso il lavoro per via delle epurazioni di ex BaÊ¿thisti dall'apparato statale. Molti di essi sono quindi ostili alla coalizione e al nuovo governo e hanno formato gruppi armati di tendenze sia laiche (ex BaÊ¿thisti) che islamiche, spesso alleati con gruppi terroristici come la cosiddetta Al-Quaeda in Mesopotamia, fondata da AbÅ« MusÊ¿ab al-ZarqÄwÄ«. I sunniti avevano inizialmente rifiutato di partecipare alla lotta politica, ma poi sono nati diversi gruppi che li vorrebbero rappresentare. Fra questi l'Associazione del clero musulmano, il Fronte di Accordo Nazionale (religiosi) e il Consiglio Nazionale per il Dialogo (laico). Questi partiti sono considerati i più vicini alla resistenza e nel complesso nelle seconde elezioni del 2005 hanno ottenuto circa il 20% dei consensi.
Gruppi politici di una certa importanza sono stati formati da esiliati laici come IyÄd Ê¿AllÄwÄ« (sunnita, ex membro del partito BaÊ¿th fuggito dall'Iraq durante l'ascesa al potere di SaddÄm e poi entrato al servizio della CIA), Aḥmad ShalabÄ« (finanziere sciita legato ai neoconservatori - e forse ai servizi segreti iraniani - fonte di molte delle informazioni che hanno spinto gli USA alla guerra) e AdnÄn PachachÄ«. Il maggiore di questi è quello di Ê¿AllawÄ« (al-Iraqya), che raccoglie i consensi dei più laici e filo-americani fra gli iracheni; alle elezioni del 2005 questi gruppi hanno raccolto circa il 10% dei voti.
Un ruolo minore viene svolto dalle piccole minoranze (2-3% della popolazione) turca e cristiana caldea, insediate in regioni ristrette del nord del paese (come la città di Kirkūk) e da alcuni piccoli partiti (come i comunisti) non legati a gruppi etnici, religiosi o tribali.
Il grande Ayatollah Ê¿AlÄ« al-SÄ«stÄnÄ«, principale leader religioso della popolazione sciitaNella politica irachena le autorità ecclesiastiche svolgono un ruolo importante. Fra esse spiccano i grandi ayatollah sciiti di Najaf, che avevano goduto di una sia pur minima autonomia persino negli anni del regime. Il più importante di loro è Ê¿AlÄ« al-SÄ«stÄnÄ«, che nell'Iraq odierno riveste un ruolo somigliante a quello del papa nella politica italiana.
L'occupazione (maggio 2003-giugno 2004) [modifica]
La situazione politica [modifica]
iniziale amministrazioone di Jay Garner e sua rinuncia
costituzione dell'autorità provvisoria della coalizione (Coalition Provisional Authority o CPA) con a capo Paul Bremer
costituzione del consiglio governativo iracheno
risoluzioni ONU
epurazione degli Ba'thisti e dissoluzione dell'esercito
programma di liberalizzazione economica
"ricostruzione"
la controversia con SÄ«stÄnÄ« riguardo alle elezioni (inverno-primavera 2004)
la "Transitional Administrative Law
La situazione militare [modifica]
saccheggi e disordini
attentato a Muḥammad BÄqir al-ḤakÄ«m
attentato all'inviato ONU Sergio Vieira De Mello
uccisione di Uday e Quṣayy Ḥusayn
cattura di á¹¢addÄm Ḥusayn
Lo scontro con l'"esercito del Mahdī" [modifica]
Nella primavera del 2004 gli americani decisero di non tollerare ulteriormente le attività dei seguaci di Muqtada al-Sadr e della sua milizia armata, l'Esercito del Mahdī. Il 4 aprile fu decisa la chiusura del loro giornale (al-Hawza), accusato di incitare alla violenza. Al-Sadr, temendo un'azione contro di sé e il suo gruppo, invitò la popolazione di Sadr-City (un popoloso sobborgo di Baghdad a forte prevalenza sciita, dove egli gode di grande supporto) a una protesta che degenerò in gravi incidenti, in cui morirono 8 soldati americani e alcune decine di seguaci di al-Sadr.
L'arresto di un suo vice confermò al-Sadr nei suoi timori, spingendolo a proclamare un'insurrezione: nei giorni successivi vi furono combattimenti in gran parte del sud sciita. La coalizione annunciò un mandato di cattura nei confronti di al-Sadr (accusato di essere il mandante di un omicidio), benché il ministro della Giustizia iracheno (nominato dalla coalizione stessa) negasse che il mandato fosse stato emesso. Nel frattempo, l'esercito del MahdÄ« aveva praticamente preso possesso di Sadr-City e di diverse città del sud, a volte con la connivenza delle autorità locali e della polizia, a volte dopo scontri armati. Esso ebbe qualche successo anche nelle città più importanti, dove erano stanziate le truppe della coalizione: il contingente ucraino fu costretto a lasciare la città di Qut, a Nassiriya gli italiani persero il controllo di parte della città , a Basra gli insorti riuscirono a occupare la sede del governatorato, mentre a Karbala polacchi e bulgari furono duramente impegnati ma riuscirono a mantenere il controllo. La "conquista" più importante e duratura delle forze di al-Sadr fu la città santa di Najaf, dove si recò lo stesso Muqtada, spostandosi dall'abituale sede di Kufa in un edificio prossimo alla tomba dell'ImÄm Ê¿AlÄ«.
L'8 aprile la coalizione inviò rinforzi a sud, riprendendo quasi tutte le città : i sadristi generalmente preferirono evitare di scontrarsi con forze superiori alle proprie, abbandonando le posizioni e mescolandosi col resto della popolazione; solo Kufa, Najaf e Sadr-City restarono in mano all'esercito del MahdÄ«. Gli USA inviarono quindi 2.500 soldati a Najaf, col compito di catturare od uccidere Muqtada. Essi tuttavia non potevano usare i bombardamenti e le armi pesanti nella consueta misura, poiché avrebbero rischiato di uccidere l'ayatollah SÄ«stÄnÄ« (che aveva sempre svolto un ruolo pacificatore) o di danneggiare i numerosi edifici sacri della città (la cui distruzione avrebbe potuto portare a un'insurrezione generale degli sciiti). Gli statunitensi sperarono dapprima che SÄ«stÄnÄ« avrebbe costretto al-Sadr ad abbandonare Najaf, ma l'ayatollah temeva di scatenare uno scontro in seno agli sciiti e rimase neutrale. Lo stallo terminò a metà maggio, quando fu lanciato un sanguinoso attacco che danneggiò anche alcune moschee. Le ostilità ripresero in gran parte del sud, tanto che il 17 maggio gli italiani furono scacciati dal centro di Nassiriya (dove tornarono il giorno seguente grazie a un accordo negoziato), il che allentò leggermente la presa americana su Najaf.
Dopo circa tre settimane di combattimenti, il 6 giugno si giunse a una tregua: gli USA dichiararono di aver sconfitto militarmente l'Esercito del MahdÄ«, ma rinunciarono a catturare Muqtada al-Sadr in cambio del suo impegno a dissolvere la sua milizia e a partecipare al processo politico. Tuttavia nessuna delle due parti si fidava dell'altra, per cui al-Sadr continuò a controllare parti di Najaf e di altre città , mentre gli USA continuarono a circondare queste zone. All'inizio di agosto la tregua fu rotta e a Najaf si scatenò un nuovo conflitto fra i marines e i miliziani sadristi, spesso nelle vicinanze della tomba dell'ImÄm Ê¿AlÄ« e in generale nella città vecchia. Dopo altre tre settimane di combattimenti, gli americani circondavano da vicino la tomba di Ê¿AlÄ« e stavano considerando un assalto diretto, pur consapevoli dei rischi di insurrezione generale che esso comportava.
La situazione fu risolta da SÄ«stÄnÄ«: egli era stato ricoverato per circa un mese in un ospedale di Londra, ma al suo ritorno in Iraq egli condusse una sorta di "marcia" pacifica su Najaf con lo scopo di fermare i combattimenti (25 agosto). Il giorno successivo SÄ«stÄnÄ« negoziò una nuova tregua fra le due parti, sulla base dei termini della precedente. La principale novità di questi accordi fu che SÄ«stÄnÄ« si fece garante del rispetto degli accordi, obbligando Muqtada a lasciare Najaf e gli americani a desistere dai loro tentativi di arrestarlo. Najaf passò sotto il controllo non della coalizione ma delle forze governative irachene, "coadiuvate" da altre milizie sciite (come quella del partito SCIRI) vicine a SÄ«stÄnÄ«.
Il recupero formale della sovranità (giugno 2004-gennaio 2005) [modifica]
Il governo Allawi [modifica]
IyÄd Ê¿AllÄwÄ«, nominato dagli americani primo ministro dell'Iraq nel 2004 e rimasto in carica fino alle prime elezioni del 2005
La campagna di Fallūja [modifica]
Le elezioni del 2005 e la redazione della nuova Costituzione [modifica]
Le elezioni del gennaio 2005 [modifica]
La legge elettorale
L'opposizione dei sunniti
I risultati
La nuova presidenza (TÄlabÄnÄ«) e il nuovo governo (JaÊ¿farÄ«)
La nuova costituzione [modifica]
Il compito principale del parlamento eletto il 15 gennaio 2005 era di redigere una nuova costituzione. La Transitional Administrative Law (TAL) prevedeva che essa fosse approvata entro il 15 agosto, in modo da poterla sottoporre a referendum in ottobre. Queste scadenze si rivelarono difficili da rispettare, per motivi sia procedurali (la scelta della commissione che avrebbe redatto la costituzione richiese mesi di negoziati) che sostanziali (i due argomenti più dibattuti furono ruolo della religione islamica e la forma federale dello stato iracheno).
Sciiti e curdi giunsero infine a un compromesso, che ignorava però le richieste dei sunniti (e vanificava i precedenti sforzi per coinvolgerli nella stesura della costituzione): i curdi avrebbero accettato un articolo che impedisce l'approvazione di leggi contrarie ai "principi riconosciuti dell'Islam" (oltre che ai "diritti umani" e ai "principi democratici"), mentre gli sciiti avrebbero acconsentito alle confederazioni regionali proposte dai curdi (ciascuna confederazione, composta da almeno 3 provincie, avrebbe goduto di amplissima autonomia)
Il testo non venne mai formalmente approvato dal Parlamento iracheno, che in settembre si limitò a un voto in cui si accettavano le decisioni della commissione; tuttavia questo voto avvenne prima che una versione definitiva fosse resa nota.
Il 15 ottobre 2005 la costituzione fu sottoposta a referendum. Sciiti e curdi votatono massicciamente a favore e a livello nazionale i "sì" furono circa il 78%. I sunniti presero parte al voto, sperando nella TAL, che prevedeva che se in 3 provincie i "no" fossero stati superiori ai 2/3, la costituzione sarebbe stata respinta indipendentemente dal totale nazionale. Questo tentativo fallì per poco: nelle due provincie di Anbar e Salahuddin i "no" furono ben superiori alla soglia dei 2/3, ma nella provincia di Ninevah la significativa presenza curda (e cristiana) ridusse i "no" al 55% dei voti della provincia.
Le elezioni del dicembre 2005 [modifica]
Nuova legge elettorale
Partecipazione sunnita e sadrista
Risultati
Aspetti militari [modifica]
L'Iraq dal 2006 ad oggi [modifica]
Stallo politico
Attentato alla moschea di Al-Askari (Samarra)
Incremento della violenza
Gli abusi e le torture [modifica]
La guerra irachena viene combattuta con mezzi estremamente brutali. Una parte consistente della resistenza non esita a compiere atti terroristici che provocano un gran numero di vittime civili, a volte senza neppure il pretesto di attaccare le forze della coalizione o del nuovo governo iracheno. Nonostante abbiano provocato un numero relativamente piccolo di vittime, in Occidente hanno avuto grande risonanza i rapimenti di personale occidentale, terminati in più di un caso con l'assassinio degli ostaggi (p.es. gli italiani Fabrizio Quattrocchi ed Enzo Baldoni), a volte in circostanze particolarmente raccapriccianti come quelle del filmato della decapitazione del civile americano Nick Berg.
Un prigioniero nel carcere di Abū GhuraybAnche le truppe della coalizione e degli alleati iracheni non sono immuni da colpe. Il caso più noto in Occidente è quello della prigione di Abu Ghraib, dove numerosi prigionieri iracheni sono stati sottoposti a tortura da parte di soldati americani, ma vi sono stati numerose denuncie di abusi, legate sia a episodi "sul terreno" che al frequente uso dell'arma aerea da parte dei comandi americani; la campagna di Fallūja del Novembre 2004, che ha distrutto 2/3 degli edifici della città senza tener conto dell'eventuale presenza di civili è uno degli esempi più citati.
Un caso più recente è il cosiddetto massacro di Haditha, in cui il 19 novembre 2005 una squadra di Marines avrebbe assassinato 24 civili iracheni disarmati in risposta ad un attacco contro truppe statunitensi. Se confermato, il fatto costituirebbe un crimine di guerra. Esso sarà oggetto di un processo in cui gli imputati rischiano la pena di morte[19]
Infine, le varie milizie irachene (siano esse sciite, sunnite, curde o persino governative) sono ritenute responsabili di campagne di omicidi mirati o di vera e propria pulizia etnica (specialmente in città contese come KirkÅ«k; nel giugno 2006 il governo iracheno ha stimato che 180.000 persone siano state costrette a lasciare le proprie case in episodi del genere, ma l'ONU sostiene che oltre un milione di iracheni abbiano lasciato il Paese). Nel dicembre 2005 l'ex primo ministro IyÄd Ê¿AllÄwÄ« descrisse gli abusi della polizia del nuovo governo iracheno come "peggiori di quelli di Saddam". Poche settimane dopo questo giudizio è stato almeno parzialmente confermato dalla scoperta da parte americana di una prigione dove i corpi speciali del governo iracheno (fortemente infiltrati dalle milizie sciite) sottoponevano a sistematicamente a tortura dei prigionieri sunniti.
Il conflitto iracheno e la politica internazionale [modifica]
Politica interna statunitense [modifica]
Bush ottiene il benestare del congresso
Elezioni presidenziali del 2004 [modifica]
il piano di Bush: "irachizzazione"
il piano di Kerry: "internazionalizzazione" e competenza
vittoria di Bush e rimpasto nella sua Amministrazione
Nigergate - incriminazione di Scooter Libby
Elezioni "di mezzo termine" del 2006 [modifica]
crollo di popolarità della guerra
i democratici riprendono il controllo del Congresso
rapporto dell'Iraq Study Group
dimissioni di Rumsfeld e nomina di Gates a Segretario della Difesa
la "surge" e gli avvicendamenti al comando USA
fallito tentativo democratico di legare il finanziamento della guerra a una scadenza per il ritiro
I costi economici della guerra [modifica]
La regione medio orientale [modifica]
Turchia (conflitti con i curdi)
Iran (minacce di attacco USA e possibile programma nucleare)
Arabia Saudita e monarchie del Golfo Persico (sponsor sunnita ed infiltrazioni terroristiche)
Giordania (problema dei profughi)
Siria e Libano (minacce di attacco USA, ritiro siriano dal Libano)
disarmo libico
Israele (conflitto con i palestinesi, guerra libanese dell'estate 2006?)
altri stati arabi (ad es. Egitto)
Europa [modifica]
"vecchia" e "nuova" Europa: l'opposizione francese e le elezioni tedesche
attentati del marzo 2004 a Madrid, vittoria di Zapatero, ritiro spagnolo
attentati del luglio 2005 a Londra
Il coinvolgimento italiano [modifica]
La partecipazione italiana alle operazioni in Iraq [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Operazione Antica Babilonia.
L'Italia non prese parte all'invasione dell'Iraq ma fornì appoggio politico e logistico all'operazione, tanto da essere inserita dalla Casa Bianca nella lista dei membri della "Coalition of the willing". Un contingente italiano di circa 3.200 uomini venne inviato in Iraq poco tempo dopo la fine ufficiale delle operazioni militari su larga scala (annuncio di Bush del 1º maggio 2003); i suoi compiti primari erano il mantenimento della pace e la protezione delle operazioni umanitarie effettuate da organizzazioni come la Croce Rossa Italiana.
I soldati italiani furono schierati nel sud sciita, un'area relativamente tranquilla rispetto alle provincie sunnite e alla capitale Baghdad; la principale sede del contingente era la città di NÄá¹£iriyya, dove l'italiana Barbara Contini fu posta dalla CPA a capo dell'amministrazione civile incaricata della ricostruzione.
Ciò non evitò che il 12 novembre 2003 i soldati italiani fossero oggetto di un attentato kamikaze, nel quale 19 dei 23 morti furono italiani, militari e civili.
Successivamente, nel corso dei combattimenti fra i miliziani sciiti dell'Esercito del MahdÄ« e le truppe della coalizione (primavera-estate 2004) si registrarono scontri anche nel settore italiano. A NÄá¹£iriyya il 6 aprile 2004, i militari italiani furono impegnati nella citta' in uno scontro della durata di 5 ore nel quale furono feriti undici bersaglieri, fortunatamente in modo lieve; le perdite irachene furono di una quindicina di morti, tra cui sembra una donna e due bambini, e oltre 35 feriti.
Gli italiani furono coinvolti in altri due scontri militari, a maggio e a settembre dello stesso anno. Nel primo di questi due scontri morì Matteo Vanzan, Primo Caporalmaggiore del corpo dei Lagunari, colpito da una scheggia di granata da mortaio.
Nel 2006 la missione italiana è stata oggetto di diversi attentati, due dei quali hanno assassinato quattro soldati: il 27 aprile morirono Franco Lattanzio, Carlo De Trizio e Nicola Ciardelli, mentre il 6 giugno fu ucciso Alessandro Pibiri.
Il 21 settembre 2006 si è svolta a Nassiriya una cerimonia in cui il Ministro della difesa Arturo Parisi ha ufficialmente passato le consegne per le operazioni di sicurezza nell'intera provincia di Dhi Qar dal contingente italiano alle truppe irachene. La cerimonia ha ufficializzato l'inizio del ritiro totale dei militari italiani (già ridotti a circa 1.600 uomini), completato i primi del dicembre 2006.
Secondo un rapporto dell'Iraq Body Count della metà del 2005, il contingente italiano in Iraq ha ucciso 20 civili iracheni.
I rapimenti [modifica]
Nella primavera del 2004 iniziò una lunga serie di rapimenti di stranieri, spesso allo scopo di fare pressione sui vari governi (p.es. per spingerli a ritirare le truppe presenti in Iraq). Gli italiani coinvolti furono otto, di cui due furono assassinati. Essi sono:
I mercenari Fabrizio Quattrocchi, Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio furono rapiti nell'aprile del 2004; Quattrocchi fu assassinato dopo pochi giorni, mentre gli altri furono liberati da un blitz delle forze della coalizione[20].
Il giornalista free-lance Enzo Baldoni fu rapito e ucciso nell'agosto del 2004.
Le due operatrici umanitarie Simona Pari e Simona Torretta dell'organizzazione Un ponte per.. furono rapite il 7 settembre 2004 e liberate il 29 settembre di quell'anno, forse dopo il pagamento di un riscatto.
La giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena fu rapita il 4 febbraio 2005 e rilasciata un mese dopo. Di nuovo, voci insistenti (smentite dal governo) parlarono del pagamento di un riscatto. Questo però passò in secondo piano poiché la liberazione della Sgrena fu funestata dalla morte dell'agente del SISMI Nicola Calipari, ucciso da soldati statunitensi mentre conduceva l'ex-ostaggio all'aeroporto in circostanze non chiarite.
Politica interna italiana [modifica]
La partecipazione italiana alla coalizione fu piuttosto impopolare presso l'opinione pubblica italiana.
L'invio dei militari fu deciso dal voto unanime della maggioranza di governo di Silvio Berlusconi (il quale sostenne - durante la campagna elettorale del 2005 - di aver cercato senza successo di convincere alla rinuncia il presidente statunitense) cui si unirono i parlamentari dell'UDEUR, in contrasto col resto del centro-sinistra.
All'inizio del 2006 il governo Berlusconi aveva annunciato di essere intenzionato a ritirare dall'Iraq il contingente italiano entro il mese di novembre. Questo calendario è stato sostanzialmente rispettato dal governo di Romano Prodi, che gli è succeduto nel maggio 2006, terminando il ritiro il 2 dicembre 2006.
Conseguenze [modifica]
á¹¢addÄm Ḥusayn dopo la sua catturaLa prima conseguenza dell'invasione fu la demolizione dell'apparato statuale iracheno e lo scatenamento di una micidiale guerra civile in quasi tutto il territorio del paese. Dopo la caduta del regime (9 aprile 2003), causato dall'ingresso delle truppe corazzate americane a Baghdad, iniziarono violenze dilaganti in tutto il paese, con numerose depredazioni nella zona della capitale, specie nei palazzi presidenziali di á¹¢addÄm Ḥusayn e anche nel museo archeologico della città (da cui sparirono svariate migliaia di pezzi).
A partire dal 1º maggio 2003, giorno in cui il presidente degli Stati Uniti ha proclamato la fine della guerra, le forze militari d'occupazione sono state fatte oggetto di un continuo stillicidio di attentati suicidi dinamitardi da parte di una guerriglia organizzata da radicali islamici e ex sostenitori del regime di SaddÄm Husayn Nel solo mese di maggio 2003 i marines americani uccisi furono 24.
Da allora le vittime hanno continuato a salire, fino a raggiungere le attuali 3728 vittime tra soldati americani e alleati (marzo 2003-25 maggio 2007). Subito dopo l'occupazione del paese Bush ha dato il potere a un provvisorio militare capeggiato dal generale americano Paul Bremer.
Durante il 2004 sono stati uccisi in un bombardamento missilistico i due figli di á¹¢addÄm Ḥusayn, Uday e Quá¹£ayy, e nel dicembre del medesimo anno egli stesso è stato catturato da truppe speciali americane con un blitz a TikrÄ«t all'interno di un suo rifugio sotterraneo. Preso in custodia dalle forze delle coalizione, dopo una breve detenzione,è stato consegnato insieme ad altri 7 imputati al giudizio di un Tribunale Speciale Iracheno formato da suoi connazionali per l'eccidio di 148 sciiti a Dujayl nel 1982.
Secondo un rapporto del Pentagono pubblicato il 13 ottobre 2005 e citato da Le Monde il 10 novembre, gli Iracheni uccisi o feriti dopo il 1º gennaio 2004 sono stati 26.000.
Nel settembre 2005 in America è stato pubblicato il dossier "The Iraq Quagmire" riguardante i costi economici e sociali della guerra in Iraq
I costi umani della guerra [modifica]
Le perdite della Coalizione [modifica]
UH-60 abbattuto in IraqI costi umani della guerra irachena sono estremamente incerti. L'unica eccezione è costituita dalle perdite delle truppe della Coalizione, generalmente riportate in dettaglio dalla stampa. Il sito icasualties riporta dei totali aggiornati; l'11 giugno 2007 i dati erano:
USA: 3.508 morti (aggiornato all'11/6) e 25.830 feriti (aggiornato al 5/6)
Regno Unito: 150 morti
Italia: 33 morti
Polonia: 20 morti
Ucraina: 18 morti
Bulgaria: 13 morti
Spagna: 11 morti
altri (Australia, Repubblica Ceca, Danimarca, El Salvador, Estonia, Ungheria, Kazakhstan, Lituania, Paesi Bassi, Romania, Slovacchia, Thailandia): 33 morti.
Il totale è di 3.786 morti e più di 25.830 feriti. A questi vanno aggiunti perlomeno alcune centinaia di morti di civili non-iracheni, fra cui:
398 (icasualties) e 916 (wikipedia inglese) contractors uccisi (fra cui l'italiano Fabrizio Quattrocchi; alcuni di questi erano mercenari, altri lavoravano a progetti di ricostruzione) ed oltre 7.000 feriti (wikipedia inglese)
diverse decine di giornalisti (fra cui Enzo Baldoni).
Le perdite irachene [modifica]
L'incertezza diventa molto più grande quando si passa a esaminare le perdite irachene e le cose peggiorano ulteriormente quando si cerchi di separare le vittime civili da quelle dei combattenti (militari, poliziotti, miliziani, guerriglieri, terroristi), tanto più che le truppe della USA hanno deciso di non fornire cifre sistematiche sulle vittime delle operazioni.
Una prima stima è stata fornita dal presidente americano Bush nella conferenza stampa dopo un discorso del dicembre 2005: "Direi che più o meno 30.000 iracheni sono morti come risultato dell'incursione iniziale e della [successiva] continua violenza contro gli iracheni."
Probabilmente questa stima ha valore solo come limite inferiore al numero di morti, anche perché non può tener conto degli avvenimenti successivi al dicembre 2005.
Perdite dell'esercito di SaddÄm [modifica]
La prima incertezza riguarda il numero di truppe irachene uccise dagli americani durante l'invasione della primavera 2003; stime molto diverse sono state fornite da molteplici fonti; fra le più citate vi sono
il giornalista Johnatan Steele del Guardian che poco dopo l'invasione fece una stima statistica che poneva i morti dell'esercito iracheno fra 13.000 e 45.000
Uno studio dei rapporti militari che fornisce cifre significativamente più basse, fra 4.895 e 6.370 morti (ma include nella sua metodologia una riduzione di almeno il 20% delle cifre fornite nei rapporti consultati).
Sulla wikipedia inglese i morti dell'esercito di Saddam sono stimati fra 7.600 e 10.800.
Perdite delle forze di sicurezza del nuovo governo iracheno [modifica]
Per quel che riguarda le truppe (esercito, polizia ecc.) irachene uccise in scontri durante i 49 mesi di presenza americana, il sito icasualties riporta un totale di 6.786 soldati o poliziotti uccisi fino alla meta di maggio 2007. Questo numero è teoricamente solido in quanto generalmente queste morti sono annunciate dal ministero dell'interno iracheno; tuttavia esistono sospetti che il ministero stesso cerchi di minimizzare le proprie perdite per ragioni politiche.
La wikipedia inglese stima che le perdite subite dalle forze del nuovo iracheno (polizia ed esercito) ammontino ad almeno 7.800 morti e 41.300 feriti
Perdite fra i civili iracheni [modifica]
Il numero più alto di vittime della guerra si trova però fra i civili iracheni; anche qui vi è tuttavia una significativa incertezza. Una delle fonti più citate al riguardo è il sito Iraq Body Count, che (il 15 maggio 2007) forniva una cifra minima di oltre 63.000 civili uccisi, ricavando questo numero dai soli rapporti della stampa in lingua inglese che siano confermati da almeno due diverse fonti. Questo numero è chiaramente un limite inferiore; tuttavia esso non comprende esclusivamente dei civili.
Perdite della guerriglia e delle milizie irachene [modifica]
Non vi sono praticamente stime dei morti causati dalla guerra fra le fila della resistenza e delle varie milizie legate ai gruppi etnico-religiosi iracheni (peshmerga curdi, milizia Badr, Esercito del Mahdī ecc.). La wikipedia inglese fornisce comunque un limite inferiore di 9.446 morti "da una lista incompleta di rapporti"; ma è difficile credere che la cifra reale non sia significativamente più alta (ad esempio perché, visti i differenti armamenti, è inverosimile che le perdite della guerriglia non siano molto superiori ai 10.000 uomini perduti complessive della coalizione e del nuovo governo). à possibile che questa cifra sia bassa perché molte di queste morti sono classificate come quelle di "civili" dalle fonti utilizzate, per esempio, dall'Iraq Body Count.
Il totale dei morti e gli studi di "The Lancet" [modifica]
Il numero minimo cui si giunge sommando le perdite dell'esercito di SaddÄm e quelle registrate dall'Iraq Body Count è di circa 68.000 morti fra gli iracheni; questa è certamente una sottostima, sia perché la stampa occidentale non è in grado di documentare tutte le uccisioni, sia perché, se è vero che questi numeri includono anche perdite non civili, è molto improbabile che tengano conto di tutte queste perdite.
Questa ipotesi è rafforzata da due studi apparsi nell'ottobre 2004 e nell'ottobre 2006 sulla rivista medica The Lancet. Entrambi analizzano il tasso di mortalità in Iraq, misurandone l'aumento rispetto al periodo precedente alla guerra. Il primo trova che nei 18 mesi fra l'invasione e la sua effettuazione (agosto-settembre 2004) vi sarebbero state circa 100.000 morti "in eccesso" rispetto a quanto sarebbe avvenuto in assenza dell'invasione. Il secondo stima che nei 40 mesi fra l'invasione ed i rilevamenti (maggio-luglio 2006) vi siano state circa 650.000 morti "in eccesso", in gran parte (600.000) dovute ad atti violenti. La metodologia utilizzata è imprecisa e vi è una rilevante incertezza statistica (per il secondo studio l'intervallo di confidenza al 95% va da 420.000 a 790.000 morti); tuttavia essa è ritenuta fra le migliori possibili in situazioni di conflitto (Iraq, Bosnia, Rwanda, Darfur ecc.) e dal punto di vista metodologico le critiche rivolte a questo studio sono infondate[21]. D'altra parte, l'enorme differenza con le stime fornite dall'Iraq Body Count (che nel periodo corrispondente stimava meno di 50.000 morti) è molto difficile da spiegare.
L'ONU sostiene ([1]; vedi anche [2] e [3]) che nel corso del 2006 vi siano state almeno 34.452 morti violente. Una semplice estrapolazione porterebbe ad un totale di circa 130.000 morti violente dall'inizio dell'invasione, un numero che si colloca a mezza strada fra le stime dell'Iraq Body Count e quelle dello studio di The Lancet. Il governo iracheno ha contestato queste cifre sostenendo che sono esagerate, per quanto il 9 novembre lo stesso ministro della sanità iracheno Ê¿AlÄ« al-ShemÄrÄ« avesse dichiarato di ritenere che il totale delle vittime irachene ammonti a circa 150.000 (non è chiaro se questa dichiarazione sia basata su dati raccolti dal ministero o sia solo una valutazione personale).
Note [modifica]
^ La National Intelligence Estimate rilasciata nel febbraio 2007 dal National Intelligence Council statunitense discute l'uso del termine guerra civile in questo modo: La "Intelligence Community" crede che il termine "guerra civile" non catturi adeguatamente la complessità del conflitto in Iraq, che comprende diffuse violenze fra sciiti, attacchi contro le forze della coalizione da parte di al-Quaeda e della resistenza sunnita, e una diffusa violenza criminale [cioè senza motivi politici, N.d.T.]. Ciononostante, il termine "guerra civile" descrive accuratamente gli elementi chiave del conflitto iracheno [..]
^ In Italia l'uso del termine resistenza è contestato in quanto un'istintiva associazione con la Resistenza italiana gli darebbe una connotazione positiva. Esso viene qui utilizzato in senso neutro, così come generalmente avviene nei testi di lingua inglese (i termini resistance e insurgency, traducibili con resistenza vengono comunemente usati sia dalla stampa anglosassone che dai governi americano e britannico).
^ Nel contesto iracheno il termine sunnita viene utilizzato nel senso di sunnita di etnia araba, escludendo quindi i Curdi (che pure sono in larga maggioranza musulmani sunniti).
^ Ancora la National Intelligence Estimate statunitense del febbraio 2007 dichiara che La crescente polarizzazione della società irachena, la persistente debolezza delle forze di sicurezza e dello Stato in generale ed il rapido ricorso alla violenza da parte di tutte le parti in causa stanno portando congiuntamente ad un incremento della violenza (sia comune che politica) e dell'estremismo politico. Se gli sforzi per invertire questa tendenza non produrranno un miglioramento visibile entro il periodo coperto da questa "Estimate" (i prossimi 12-18 mesi), crediamo che la situazione complessiva della sicurezza continuerà a deteriorarsi ad un ritmo simile a quello dell'ultima parte del 2006.
^ Il rapporto al Consiglio di Sicurezza del Segretario Generale del'ONU Ban Ki-moon del 5 giugno 2007 fornisce un quadro generale della situazione. Fra i passi più significativi si segnalano:
"3. Nonostante il successo iniziale dovuto all'aumento delle misure di sicurezza recentemente intrapreso, la situazione irachena resta precaria. Gli attacchi della resistenza proseguono e le vittime civili continuano a crescere. Per quanto ci sia stato un breve declino del livello di violenza settaria all'inizio del periodo cui si riferisce questo rapporto, ora sembra che le milizie stiano riprendendo le proprie attività "
"33. Nonostante la crescente coscienza e preoccupazione riguardo alla crisi umanitaria in Iraq, durante il periodo coperto da questo rapporto la situazione è continuamente peggiorata."
^ Nel giugno del 2006 il governo iracheno aveva stimato 180.000 profughi interni; tuttavia nel novembre del 2006 le stime dell'ONU parlavano di oltre 400.000 rifugiati interni e di 1.600.000 iracheni che avrebbero lasciato il Paese dall'inizio del 2003. Un altro rapporto dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati dell'aprile 2007 parla di oltre 4 milioni di profughi, di cui poco più della metà sarebbero fuori dall'Iraq (soprattutto in Siria e Giordania), includendo però anche tutti coloro che avevano lasciato le loro case prima dell'invasione americana (ad es. per sfuggire alle repressioni di Saddam).
^ Vedi p.es. questa lettera indirizzata al presidente Bill Clinton nel 1998 (in inglese); altro materiale in proposito si trova p.es. sul sito del Project for a New American Century.
^ Vedi il testo completo della National Security Strategy of the United States of America del settembre 2002 (in inglese); in particolare, il cap. V
^ p.es. l'ex direttore dell'antiterrorismo USA Richard Clarke e l'ex ambasciatore britannico a Washington Cristopher Meyer.
^ A partire dagli [[anni 1990|anni '90) l'imposizione delle no-fly zones aveva però fortemente ridotto la repressione di Saddam nei confronti dei Curdi, tanto che le aree da essi abitate erano de-facto indipendenti dal governo centrale.
^ Per esempio AbÅ« Ê¿AbbÄs, capo dell'organizzazione che nel 1985 dirottò la nave da crociera italiana Achille Lauro viveva a Baghdad. Inoltre il regime iracheno inviava denaro alle famiglie dei kamikaze palestinesi responsabili di attentati in Israele e nei Territori Occupati.
^ Il rapporto finale (link alternativo) delle squadre di ispezione americane sostiene che il governo iracheno aveva sicuramente intenzione di riprendere il proprio riarmo nucleare, chimico e biologico non appena le sanzioni ONU fossero state revocate, ma ammette che all'epoca dell'invasione la dotazione irachena di WMD era quasi inesistente
^ L'ex capo della CIA George Tenet ha recentemente sostenuto che la Casa Bianca abbia deliberatamente distorto le informazioni da lui fornite riguardo alle WMD irachene. Inoltre il cosiddetto Downing Street memo rivela l'opinione della diplomazia britannica che la realtà fosse "aggiustata" per servire alla politica (the intelligence and facts were being fixed around the policy) piuttosto che il contrario.
^ Ancora George Tenet, che allora era capo della CIA ha sostenuto di aver avvertito l'Amministrazione Bush della debolezza o inesistenza dei legami fra Iraq ed al-QÄÊ¿ida. Inoltre dopo l'invasione del 2003 sono state condotte ricerche in quel che restava degli archivi dei ministeri iracheni, da cui non è emersa alcuna prova della presunta "alleanza" fra Iraq ed al-QÄÊ¿ida
^ Ad es. il sondaggi Pew GlobalAttitudes Project] riscontra che la popolarità degli USA è passata in Giordania dal 25% del 2002 all'1% del 2003 per risalire a una media sotto il 20% fra 2005 e 2006; in Turchia si è passati dal 52% del 2001 al 15% del 2003 e poi ancora sotto il 20% fra 2005 e 2006; in Indonesia si va dal 75% (2001) al 15% (2003) e nel 2005-2006 si è giunti sopra il 30%.
^ Vedi ad es. i punti chiave (key judgements) della National Intelligence Estimate statunitense intitolata Trends del terrorismo globale: implicazioni per gli Stati Uniti (Trends in Global Terrorism: Implications for the United States) dell'aprile 2006.
^ In un'intervista rilasciata nel 2005 lo stesso Powell ammise che diverse parti della sua presentazione erano basate su informazioni non affidabili.
^ Fino al maggio del 2007 questo partito si chiamava Consiglio Supremo per la Rivoluzione Islamica in Iraq, il cui acronimo inglese era SCIRI.
^
Articolo su Wikinotizie: 15 civili iracheni morti: marines statunitensi sotto indagine
Articolo su Wikinotizie: Iraq: inchieste del Pentagono sulla strage di Haditha
^ Il fatto che questo blitz sia stato del tutto incruento fa sospettare che esso fosse stato in realtà preceduto da una trattativa e dal pagamento di un riscatto, nonostante le smentite del governo e della coalizione.
^ La robustezza metodologica dello studio di The Lancet è stata riconosciuta anche dai consiglieri scientifici del ministero della difesa britannico, in parziale contraddizione con le affermazioni del portavoce di Blair, che aveva sostenuto che i risultati dello studio non fossero per nulla accurati.
Voci correlate [modifica]
Salam Pax
Storia dell'Iraq
Nigergate
Altri progetti [modifica]
Articolo su Wikinotizie: Star&Stripes: oltre 1000 militari americani firmano una petizione per la fine della guerra in Iraq 25 gennaio 2007
Articolo su Wikinotizie: Il New York Times dice stop alla guerra in Iraq 8 luglio 2007
Collegamenti esterni [modifica]
Osservatorio Iraq
Articoli della stampa internazionale tradotti in italiano sulla seconda guerra in Iraq
(IT, DE, ES, EN, FR, PT) Uruknet
Rassegna stampa sulle motivazioni dell'intervento armato
Banca dati sui morti civili in Iraq, dal sito www.iraqbodycount.org
Recensione di Le Monde sul libro di Tenet uscito in aprile 2007
Commento su Le Monde ad una intervista a George Tenet sulla tortura (maggio 2007)
Estratto da "http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_in_Iraq"
Categorie: Eventi in corso | Guerre | Storia contemporanea | Invasione dell'Iraq del 2003
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