2012-02-19 23:48:07 UTC
L’art. 18 è la foglia di fico, alla quale si vorrebbe imputare la scarsa competitività delle imprese italiane. Imprese che fino a qualche anno fa erano abituate ad essere competitive tramite la svalutazione costante della lira. Ora, con l’euro, questo giochino non è più possibile. E allora creiamo il falso problema dell’art. 18. In una situazione di tale difficoltà economica, permettere alle aziende di licenziare facilmente, senza giusta causa, aumenterebbe la disoccupazione, perché le aziende non ricorrerebbero più ne a cassa integrazione ne a mobilità. Ricordiamoci poi che in Italia non esiste il REDDITO MINIMO GARANTITO, cioè un piccolo reddito che lo stato eroga a chi è senza lavoro e che invece è presente in quasi tutta Europa. Perciò, alla minima crisi, tutti licenziati, senza reddito e senza corsi per riqualificarsi, seri e professionali, sovvenzionati dal Welfare State, e senza neppure un ufficio di ricollocamento che funzioni in maniera efficace.
Chi ne giova di questo? Gli imprenditori forse, così possono sempre permettersi l’ultimo modello di SUV o riempire di miliardi di euro i conti correnti delle banche svizzere?
I lavoratori molto spesso sono solo considerati dei costi, da abbattere, più che delle risorse da tutelare e da far crescere professionalmente. Non si spiegherebbero sennò tutti i nepotismi presenti in aziende, figli di imprenditori, incapaci di dirigere, ma ugualmente messi in posti chiave, mentre i migliori giovani laureati continuano ad emigrare ogni anno. L’abuso dell’uso dei contratti precari per i giovani ha già prodotto una generazione precaria, non vorrei si ripetesse ciò anche con chi è già più adulto.
Più utile sarebbe che le aziende investissero seriamente in ricerca e sviluppo, in innovazione, in formazione, pagare di più i dipendenti, dato che lo stipendio medio italiano è tra i più bassi d’Europa (a parità di costo della vita prendiamo meno 20% rispetto a un francese e meno 25% rispetto a un tedesco).
Nel paese delle quasi due morti sul lavoro al giorno, abbiamo bisogno di maggiore protezione per i lavoratori, non certo di eliminare le poca che resta. Licenziare senza un giustificato motivo non è segno di civiltà. E nemmeno chiudere le fabbriche per riaprirle nell’est Europa o in Cina.
A me non pare che il problema della poca competitività delle imprese italiane sia causato dall’articolo 18, che costituisce invece un deterrente contro il comportamento abusivo dei datori di lavoro e protegge i dipendenti dal licenziamento senza giusta causa. Qualunque cosa se ne dica il lavoratore dipendente È un contraente debole. Si deve piuttosto uscire dalla mentalità che sia possibile negoziare individualmente le condizioni di lavoro. Abbiamo visto, con i contratti atipici che questo non è possibile, e i giovani si sono trovati a dover accettare contratti di lavoro pagati praticamente due noccioline, appunto perché privi di tutele. Nel paese delle quasi due morti sul lavoro al giorno, abbiamo bisogno di maggiore protezione per i lavoratori, non certo di eliminare le poca che resta.