Domanda:
siete d'accordo con la lega sulla divisione......?
anonymous
2008-03-30 03:43:42 UTC
la lega pensa che il nord dovrebbe dividersi dal sud.....vi chiedo se siete d'accordo e la risposta contenente le opinioni più complete verrà votata con 10 punti.........
Dieci risposte:
anonymous
2008-03-30 03:50:31 UTC
personalmente no... trovo questa cosa molto ma molto anti - italiaca....

anche se sono del PDL
anonymous
2008-03-30 04:49:09 UTC
ALLORA ANALIZZIAMO UN' ATTIMO DIVISIONE DAL SUD SOLO IN TERMINI FISCALI SI QUESTO SAREBBE IL FEDERALISMO FISCALE CON QUESTO POTREI ESSERE D' ACCORDO NELL' IPOTESI CHE FOSSE RAGIONE DEI SVILUPPO PER NOI DEL NORD E INIZIO DI UN CAMBIAMENTO AL SUD..

DICO QUESTO PERCHE' VEDO CHE CERTE COSE NON CAMBIANO SOPRATTUTTO NEL SUD PERCHE' NON SI LAVORA PIU' DI TANTO E NON SI PAGA MA SCUSA NOI DEL NORD DOBBIAMOPAGARE PER LORO MA CHI SIAMO GLI ZII PAPERONI???

E POI SE NON ARRIVA PIU'NULLA IL SUD SI RENDE CONTO E COMINCIANO A PENSARCI SU

QUESTO SAREBBE SOLO UN DECENTRAMENTO DEL POTERE CHE COI GIUSTI CRITERI POTREBBE SANARE LA NOSTRA ITALIA

NON SONO D' ACCORDO CON LA DIVISIONE ASSOLUTAMENTE, L' ITALIA E' SEMPRE STATA FINO AL 1741 DIVISA IN STATI REGIONALI DOMINATI DAGLI STRANIERI POI SI E' CONQUISTATA A PICCOLI PASSI L' UNITA' POLITICA, CI SONO STATI SECOLI DI LOTTA PER LA PATRIA QUESTO NON E' UN DETTAGLIO TRASCURABILE, AGGIUNGO CHE SECONDO ME L' ITALIA DEVE STARE UNITA PERCHE' EFFETTIVAMENTE NON CI SONO POSSIILITA' DI UNA FEDERAZIONE COSTEREBBE TROPPO AGLI ITALIANI MORALMENTE ED ECONOMICAMENTE, VORREI IL FEDERALISMO FISCALE MA UN ITALIA UNITA PERCHE' LA AMO PERCHE' QUESTA E' LA MAI TERRA NOI ITALIANI ABBIAMO UNA TRADIZIONE CULTURALE SIAMO NONOSTANTE TUTTO UN POPOLO E UNA NAZIONE .. CHE NULLA PUO' DISTRUGGERE NEMMENO QUALCHE POLITICO ILLUMINATO NOI NON SIAMO CIECHI E LA PENSIAMO COSI NON VIVIAMO DI SOLA ECONOMIA
baby
2008-03-30 04:30:25 UTC
Per prima cosa la Lega non pensa di dividersi dal sud, pensa di articolare l'Italia in 3 macroregioni che avranno libertà di decisioni in termini di potere amministrativo, giudiziario ed economico. Dato che si può ben vedere che l'Italia è già adesso suddivisa in tre macroregioni che hanno "storie" affini x economia, cultura ecc. (guarda ad es. i prezzi degli immobili al nord un 3 locali costa ad es. 100.000€, al sud costa 60.000€; se l'economia in Italia fosse tutta uguale le case dovrebbero costare uguali no? Certo poi dipende dalle zone ma se parliamo di 2 case in centro città a Milano e Napoli la differenza di prezzo è notevole!) nn vedo xchè la cosa non si dovrebbe fare.

Per quanto riguarda il fisco pensa che ogni regione dovrebbe avere a disposizione il 90% del gettito fiscale prodotto in quella regione, le tasse saranno riscosse dalle regioni stesse e poi "girate" allo stato x la parte che gli compete. In definitiva un cambio di rotta rispetto a quello che succede adesso (ad es. in Lombardia, io sono di qui, una xsona paga ad es. 5000€ di tasse all'anno, quando lo stato rimanda i soldi in regione x le varie opere ne tornano 1000€; con il sistema della Lega un lombardo avrà a disposizione x le varie opere pubbliche da fare nella sua regione circa 4000€ e nn + 1000). Anche x questo nn ci vedo niente di male, in fin dei conti se una regione produce + o - gettito fiscale è giusto che ce l'abbia a disposizione senza l'intervento di nessuno!

Penso di essere stata abbastanza chiara ciao!
anonymous
2008-03-30 03:56:06 UTC
una divisione economica, il vecchio federalismo ecco cosa ci vuole, non serve fare la cosidetta "secessione" voglio vedere chi mantiene il magna magna della politica col federalismo.
anonymous
2008-03-30 03:55:53 UTC
No sono d'accordo con la lega su molti punti, ma non esistono italiani del sud,del centro, del nord ;

Esistono solo Italiani !!!



Infatti dovrò votare La Destra ,perchè su quel punto ,non sono d'accordo!
Giò Meboz
2008-03-30 08:41:18 UTC
assolutamente no. non si puà spaccare l'italia. l'ideologia leghista è semplicemente folle priva di un principio nazionalistico ma solo economico. non gioverebbe a nessuna ragione , a parte quelle settentrionali. non si può cambiare la costituzione sl perchè un gruppo di minoranza lo richiede è semplicemente assurdo
scrocj
2008-03-30 04:37:46 UTC
Forse dovresti informarti di più sulla Lega... lei non vuole una netta separazione dell'Italia, vuole solo più autonomia, ad esempio vuole che ogni regione usi i propri soldi all'interno della stessa regione. Perchè le regioni del Nord devono dare tutti i soldi a Roma, e dopo da Roma devono andare a finire in Terronia???

Io penso che se la Campania dovesse resistere solo con i suoi soldi, non resisterebbe una settimana.
Depeche
2008-04-01 03:08:03 UTC
non sono d'accordo con la divisione dell'italia, perchè sono mrte tante persone per formare questo paese, però sono d'accordo per il federalismo, cioè solo il 20% delle entrate fiscali deve andare a roma mentre l'80% deve essere gestito dalle regioni
anonymous
2008-03-30 05:37:09 UTC
sono d'accordo: i tèrun riprenderanno ad emigrare al nord dove c'è più lavoro spopolando le cittadine meridionali, la vita al nord costerà sempre di più perché dopo tutte le promesse fatte la lega dovrà fare opere pubbliche, aumentare gli stipendi e le pensioni, sostenere il peso sociale e sanitario dell'immigrazione interna ed esterna, le varie mafie troveranno ancora più convenienza ad interessarsi della parte più ricca che spremere niente da quella più povera; qui al sud la vita diventerà ancora più conveniente perché gli stipendi già sono bassi, non potremo permetterci i prodotti sempre più costosi delle industrie del nord favorendo lo sviluppo di un'industria locale o cinese che può contare sulla ricchezza di mano d'opera a poco prezzo. e ci sarà sempre lo stato centrale (dove conterà sempre il partito che riesce a prevalere in tutto il paese e non di certo in una sola parte) a dover fronteggiare tutti i problemi e le emergenze che dovessero nascere e le eventuali grane con l'unione europea.
luigi d
2008-03-30 03:53:55 UTC
NO,dp tutta questa fatica non sono proprio daccordo ti racconto una storia:



La spedizione dei Mille e l'unità d'Italia





In Italia nella primavera del 1860 la situazione politica era molto fluida e lo stesso Cavour cominciava a pensare alla possibilità di un’unificazione della penisola. Le difficoltà erano tuttavia ancora notevoli perché la Francia non avrebbe accettato un attacco piemontese contro lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico, quest’ultimo difeso sul piano diplomatico anche dalla Russia; l’Austria, dal canto suo, avrebbe potuto approfittare di ogni passo falso per reinserirsi nel gioco politico italiano.



Ma il problema più grave consisteva nel fatto che l’armistizio di Villafranca e la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia avevano screditato la politica sabauda presso l’opinione italiana, per cui nella primavera del ’60 sembrava più facile una iniziativa democratico-repubblicana, che trovava il suo centro nel "partito d’azione" il quale aveva il vantaggio di poter agire al di fuori di ogni impedimento diplomatico e contava sull’enorme popolarità di Garibaldi.



Il "partito d'azione" non era un gruppo omogeneo di persone che avevano le stesse finalità e idealità politiche; era un organismo di agitazione e propaganda cui facevano capo sia i repubblicani mazziniani sia i democratici decisi all’azione come Pisacane e Garibaldi.



A dare l’avvio a una ripresa rivoluzionaria furono gli eventi siciliani quando, contro il giovane e inesperto sovrano Francesco II, nell’aprile del ’60 esplose l’ennesima rivolta a Palermo. Il partito d’azione convinse Garibaldi ad agire direttamente in Sicilia, anche perché Vittorio Emanuele, era disposto ad aiutare i volontari, contro il parere di Cavour il quale, come primo ministro, non poteva compromettersi specialmente agli occhi di Napoleone. Dal canto suo il Mazzini esortava tutti ad agire concordemente al fine di realizzare l’unità della penisola.



Garibaldi ai primi di maggio del ’60 passava all’azione con i suoi Mille volontari.



Partiti da Genova, dopo una breve tappa nel porticciolo di Talamone, dove una piccola colonna lasciò Garibaldi per marciare direttamente su Roma, la spedizione raggiunse per mare la Sicilia occidentale e l’11 maggio sbarcò a Marsala. Garibaldi, assunta la dittatura in nome di Vittorio Emanuele, marciò verso l’interno con i suoi Mille, che rivestivano l’ormai leggendaria camicia rossa, rinforzati da "picciotti" cioè dai giovani contadini e braccianti che speravano in una riforma agraria che una volta per tutte eliminasse tanti soprusi ed ingiustizie.



In seguito l’entusiasmo dei contadini che miravano a impossessarsi delle terre demaniali, promesse dallo stesso Garibaldi, fu deluso perché Garibaldi e i politici della sinistra garibaldina e mazziniana volevano il successo militare della spedizione. Tra la fine di giugno e di luglio il generale, per il successo della spedizione, cominciò a stringere rapporti con i grandi proprietari terrieri, i quali, perché non cambiasse niente per loro, erano disposti ad assumere atteggiamenti liberali e favorevoli a Casa Savoia. I contadini cominciarono a guardare con diffidenza alla politica di Garibaldi, soprattutto dopo che i garibaldini repressero i moti rurali, anche quando i contadini, in perfetta legalità, richiedevano la divisione dei terreni demaniali a suo tempo promessi dal "generale".



Battuti i borbonici nella difficile battaglia di Calatafimi, il 15 maggio Garibaldi occupava Palermo e nel luglio batteva ancora le truppe regie a Milazzo, mentre il sovrano di Napoli tentava disperatamente di fermarlo, concedendo una tardiva Costituzione e affidando il governo a Liborio Romano. Una speranza vana e una fiducia mal riposta: il Romano, d’accordo con Cavour cercò di provocare in Napoli un moto di moderati monarchici, allo scopo di precedere Garibaldi alla liberazione del napoletano. Intanto Garibaldi, superato lo stretto di Messina, risaliva liberamente la Calabria mentre l’esercito borbonico si disfaceva e il 7 settembre entrava in Napoli; Francesco II si rifugiava allora a Gaeta, protetta ancora da una parte del suo esercito, nonstante il "tradimento" di buona parte dell'ufficialità.



Praticamente l’Italia meridionale era libera, nonostante attorno a Gaeta si raccogliessero ancora forti contingenti di truppe borboniche e le piazzeforti di Civitella del Tronto e di Messina non si fossero arrese. Era il momento di prendere decisioni definitive, che avrebbero pesato sul destino di tutta la penisola.



Mazzini che aveva raggiunto Garibaldi a Napoli premeva perché si evitasse il solito plebiscito a favore della monarchia sabauda e insisteva sul progetto di una "Assemblea Costituente" che decidesse del nuovo assetto da dare all’Italia, anche se egli avvertiva chiaramente che ormai il principio monarchico aveva avuto partita vinta. Garibaldi dal canto suo, pensava di risalire con le truppe verso Nord per raggiungere Roma e di lì proclamare l’Unità d’Italia.



Il Cavour, infine, si rendeva perfettamente conto della gravità della situazione; egli era consapevole che tra le file garibaldine i democratici ed i repubblicani erano molto forti e decisi a realizzare riforme sociali molto ardite, come l’assegnazione di terre ai combattenti meridionali e lo scorporo del latifondo anche a danno degli ordini religiosi. Temeva anche, a ragione, che l'invasione garibaldina del Lazio, oltre a suscitare in tutta la penisola un’ondata di entusiasmo democratico e anticlericale, avrebbe indotto l’imperatore francese a intervenire con le armi. Ancora una volta fu abilissimo a trasformare in vantaggio la propria debolezza: ancora una volta seppe agire abilmente su Napoleone. Prospettatogli lo spettro della formazione di una repubblica mazziniana e anticlericale nell’Italia centro meridionale, lo stesso imperatore sollecitò il Cavour a fare intervenire l’esercito regolare piemontese, che, al comando dei generali Fanti e Cialdini, penetrò nelle Marche e batté l’esercito papale, che tentava di sbarrargli il passaggio il 18 settembre 1860 a Castelfidardo. Nel frattempo, con la battaglia del Volturno, Garibaldi stroncava un estremo tentativo di riscossa dei borbonici, che erano costretti a rinchiudersi a Gaeta. L'incontro del 26 ottobre, a Teano, tra Garibaldi e Vittorio Emanuele poneva fine alla spedizione di Garibaldi e di fatto assicurava alla dinastia sabauda il Regno delle due Sicilie.



Le truppe garibaldine, non furono incorporate nell’esercito regolare, come era stato richiesto, e il re si rifiutò perfino di passarle in rivista. In conseguenza di questo atteggiamento, Garibaldi, deluso e sdegnato, si ritirò a Caprera.



Il 17 marzo il nuovo Parlamento italiano riunito a Torino poteva ratificare l’avvenuta unificazione, attribuendo a Vittorio Emanuele II il titolo di "re d’Italia"; il 26 marzo il Parlamento approvava un voto solenne che auspicava Roma capitale d’Italia. Il processo risorgimentale e unitario era praticamente compiuto, anche se il Lazio e le Venezie rimanevano escluse.


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